Binari e corridoi

Dante Albanesi

 Laboratorio di didattica del linguaggio cinematografico

Docente d’aula: Daniela Motta

I.I.S. “Podesti – Calzecchi Onesti” Ancona,

Classe 4G

 

 

 

Carrello avanti, bianco e nero: fissata alla testa di un treno invisibile, la cinepresa avanza sui binari. Entra in una galleria e lo schermo si oscura. Stacco: ora siamo all’interno di un vagone, un uomo e una donna eleganti e compassati si guardano, si scambiano carezze e baci fuggevoli, poi tornano alle rispettive letture. Un altro stacco tor- na alla scena precedente: il treno esce dalla galleria e torna alla luce. The Kiss in the Tunnel di George Albert Smith (1899), forse il primo film con montaggio in continuità narrativa, è il minuto con cui inauguro ogni corso di cinema. Perché in questo sublime haiku in tre inquadrature si svela la più segreta potenza dell’immagine: fungere da “catalizzatore”, mutando il senso delle immagini che la precedono e la seguono. Vediamo una galleria; poi una coppia si bacia; poi di nuovo la galleria. Ma è ancora la galleria iniziale? O nella nostra mente è irreversibilmente mutata in qualcos’altro? Il cinema ha avuto un’infanzia tortuosa: mentre in Francia o Stati Uniti si sviluppava in industria, in Gran Bretagna restava quasi un  hobby per “dilettanti”. Ma è proprio da qui, e da una città secondaria come Brighton, che alcuni di questi dilettanti creano in pochi anni la sintassi basilare del montaggio. Un miracolo che lo storico Georges Sadoul chiamerà “Scuola di Brighton”. Smith è uno di loro. E ogni progetto di cinema scolastico dovrebbe ripartire da Smith. Perché la carenza di mezzi può essere sconfitta dalla creatività: un bacio ha il potere di trasformare un treno. E dunque, al primo incontro con i ragazzi, occorre chiarire bene (soprattutto a se stessi) un paio di regole. Regola 1: idee concrete. Ovvero: visualizzare tutto. Evitare di- scorsi da progetto ministeriale, del tipo: quali sono gli obiettivi formativi o (peggio), qual è il messaggio che vogliamo comunica- re. La vera domanda è: cosa mostrerà l’immagine? E per quanto tempo? Ridurre quindi ogni trama alla sua pura raffigurazione. L’inquadratura è fissa o in movimento? Dall’alto o dal basso? Campo medio o primissimo piano? Il cinema è tutto qui: una for- ma di geometria solida, che nella sua gestione accurata può generare “spettacolo” o, in casi fortuiti, “arte”.

Regola 2: idee realizzabili. Ovvero: inutile sognare astronavi marziane o villaggi del vecchio west, quando abbiamo a disposizione a malapena la nostra classe e il parcheggio esterno. Il cinema a scuola è come il frigorifero di casa: si cucina con gli ingredienti che abbiamo, non con quelli di cui abbiamo appetito.

Regola 1 e Regola 2 uccidono dunque la fantasia? No, anzi la fortificano. Chi non incontra mai un ostacolo, non imparerà mai a saltare. Il cinema scolastico insegna ad accettare alcuni limiti inderogabili (zero soldi, zero mezzi, spazi e tempi circoscritti) e a saperli aggira- re. Col tempo, impari ad aggirarli così bene che quasi non li noti più. Infine ti accorgi che non li nota più neanche lo spettatore, e prima o  poi qualcuno commenta: “Questo lo sapevo fare anch’io.”

E quindi pensiamo semplice. Il corso tenuto nell’ottobre 2019 all’Istituto “Podesti – Calzecchi Onesti” di Ancona, con la classe 4° G dell’indirizzo “Grafica e Comunicazione”, è partito veramente dal nulla, dal puro contesto di partenza e da una manciata di ore a disposizione. Cosa mi offre di interessante questo luogo? Lunghi corridoi, larghi e luminosi. E un laboratorio di fotografia, con faretti e treppiedi. Ora immagina una campanella che suona, un alunno giunge in ritardo. Corre lungo il cortile d’ingresso, apre la porta e non trova nessuno in giro. Silenzio. Comincia a vagare nell’istituto (questo pezzo può diluirsi a volontà). Inserire una prima svolta? Il ragazzo abbassa lo sguardo sul pavimento. Cosa vede? Un filo rosso, simile a quelli dei pacchi regalo. Lungo, lunghissimo, copre l’intero corridoio e sparisce dietro l’angolo. Il ragazzo riprende il cammino, non più a caso, ma seguendo la strada che qualcuno ha scritto per lui. Qui parte una serie di primi piani del protagonista, dei piedi, del filo, campi lunghi, carrelli a precedere, carrelli a seguire.

Seconda svolta? Il filo prosegue inesausto, finché appare legato a qualcosa. Un foglio di carta. Sul foglio c’è una fotografia, il volto di una ragazza. Sull’occhio destro c’è un buco: il filo ci scorre attraverso. Prendi la foto tra le mani, stupito. La riconosci? Ma la linea rossa continua. Pochi passi più tardi incontri un altro foglio e un’altra foto ancora, e ancora. E qui ti attende la terza svolta.

Questa però non te la dico. Perché ormai hai capito il concetto. Il cinema a scuola è un filo rosso che non ripete mai lo stesso destino. Il docente porta il suo (più o meno limitato) bagaglio tecnico e teorico, ma questo bagaglio entra a patti con la classe, con alunni generosi o diffidenti, frizzanti o introversi, con i dubbi e le stanchezze, le scene da rifare, il curioso che entra in campo durante una ripresa: insomma la realtà del mondo, eterogenea e delicata come una spugna. Una spugna da plasmare a colpi di in- quadrature e montaggio, fino a ridurla a una linea, che abbia una sua logica, una coerenza, una ragione di esistere. Diritta come i binari di Brighton o i corridoi di Ancona.